Lo stemma di Benedetto XVI di Maurizio Bettoja

 

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MAURIZIO BETTOJA

1 Un articolo di S. E. R. l’allora Mons. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo,
Arcivescovo titolare di Tuscania e Nunzio Apostolico, sull’Osservatore Romano
del 28 Aprile 2005 illustra il nuovo stemma Pontificio da lui creato per Sua
Santità Benedetto XVI, stemma che ha suscitato molta sorpresa e dato luogo a
interpretazioni contrastanti.
L’elemento di rottura è l’abbandono della tiara Pontificia, sostituita da una
mitria di nuovo tipo; una certa perplessità creano poi l’inserimento di armi di
pertinenza di una diocesi e del pallio.
Il triregno e l’insieme di elementi correlati che identificano le armi per quelle
del Sommo Pontefice, apparentemente in base all’assunto che essa simboleggia
una potestà temporale, vengono sostituiti con una mitria ritenuta più carica di
spiritualità e di un senso di collegialità e fratellanza con l’episcopato.
I radicali cambiamenti araldici introdotti nell’arma Papale sono di enorme
impatto giuridico e simbolico, se si riflette che l’araldica è la precisa
2 rappresentazione visiva e codificata di una realtà. Il nuovo stemma Papale
presenta novità il cui significato non è chiaro, e che – nel linguaggio araldico –
hanno significati confusi e forse non previsti o voluti.
L’araldica, come ogni linguaggio strutturato, ha un suo vocabolario ed una sua
grammatica, un sistema coerente e logico che si è sviluppato organicamente
dalla sua storia e dall’uso corrente codificato, e la cui evoluzione si svolge
ovviamente entro i canoni e le strutture grammaticali della materia stessa.
Nell’inventare un nuovo vocabolo, si deve essere certi che il neologismo sia
comprensibile ed abbia una coerenza interna al linguaggio. Un nuovo termine si
afferma a patto che il suo significato sia accettato e compreso spontaneamente
da tutti: non si possono imporre significati nuovi a parole o ad elementi esistenti
che già hanno un significato preciso, definito dalla propria evoluzione storica.
In base a quali criteri storici e di linguaggio araldico si è voluto cambiare, e
quali sono gli autentici significati della tiara, delle chiavi, e della mitria? Ciò che
segue è un breve e discorsivo excursus storico ed araldico che tenta di chiarire
ed illustrare i significati storici ed araldici di queste insegne, ed a fornire dei
criteri di giudizio.
La rapida diffusione degli stemmi tra il XII ed il XIII sec. in tutta la società
occidentale e fra tutte le entità sociali non poteva non coinvolgere la Chiesa.
Essa fu dapprima restia ad adoperare gli stemmi per la loro evidente
associazione alla guerra, e gli ecclesiastici furono fra gli ultimi ad utilizzare
l’araldica, portati infine a ciò non solo da necessità pratiche (quale l’utilizzo nei
sigilli), ma anche in seguito alla sua evoluzione ad emblema di dignità e segno
di identificazione personale e di carica non univocamente guerresco. Se all’inizio
i significati politici erano veicolati dagli smalti e da alcuni elementi dell’arma,
ben presto il compito di dichiarare la carica e la qualità del titolare dell’arma fu
affidato al timbro, cioè a quell’elemento (elmo, corona, tiara, galero, etc.) che è
posto sopra lo scudo.
E’ dai primi del XIII sec. che i prelati hanno cominciato ad usare stemmi, con
una piena diffusione del loro uso a partire dall’alto clero dalla metà del secolo;
all’inizio non su scudi, ma su bandiere ed altri elementi non scutiformi, poi su
scudi. Ma la necessità di identificare con precisione il titolare dello stemma e la
sua dignità portò a ripetere ciò che si faceva per gli stemmi dei laici, timbrandoli
con l’elemento più riconoscibile e simbolico degli ornamenti ecclesiastici: la
tiara, il pastorale, la mitria, e, più tardi, il galero, timbro che appare dapprima in
Italia ai primi del XIV sec. I prelati logicamente precedettero di molto i
sacerdoti di dignità inferiori con timbri propri, ed i cappelli non timbrarono le
armi dei semplici sacerdoti che molto dopo quelli dei prelati.
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Essendo la tiara l’ornamento più antico, emblematico e simbolico che da un
corso lunghissimo di secoli identifica il Sommo Pontefice, vescovo di Roma, la
tiara è stata naturalmente il primo elemento a timbrare ed identificare le armi
Papali.
Il primo Papa che ha utilizzato con sicurezza uno stemma è Innocenzo III (1198
+ 1216), e lo stemma Papale timbrato dalla tiara appare per la prima in un
manoscritto di Mathieu Paris del 1250. Da Bonifacio VIII (1295 – 1303) in poi
le armi Papali sono state costantemente timbrate dalla tiara. Solo in seguito,
verso la metà del XIV sec., allo stemma Papale timbrato dalla tiara si sono
aggiunte le chiavi, originariamente simboleggianti S. Pietro, poi la Chiesa anche
quale entità sovrana e feudale; le chiavi sono dunque un elemento aggiunto,
seppur di grande significato e tradizione simbolica, nel quale è presente
sopratutto un importante significato di sovranità temporale.
Mai uno stemma pontificio fu timbrato da una mitria.
La tiara, poi chiamata triregno quando vi si aggiunsero via via le tre corone
simboliche, è un’antichissima insegna di dignità, generalmente sacerdotale, ma
non solo, in uso ben prima dell’Era Volgare. Stranamente non esistono studi
specifici su quest’insegna, forse una delle più antiche in uso continuo
nell’Occidente e di altissima dignità e simbolicità: di essa si sono occupati vari
studiosi, ma sempre nel contesto di studi sulle vesti e gli oggetti liturgici e senza
l’approfondimento specifico che meriterebbe un’insegna di tale importanza nella
storia, nella simbologia e nella cultura dell’Occidente.
La tiara è fra i più antichi ornamenti del Sommo Pontefice, vescovo di Roma,
forse già in uso in epoca pre-costantiniana; copricapo di origine orientale detto                                                                            camelaucum, phrigium infine regnum ed in uso quale emblema di dignità e
libertà nell’antichità. La tiara aveva alta forma conica o a calotta, generalmente
di colore bianco, ed era attributo sacerdotale, ma non solo: la troviamo infatti
portata sopratutto da sovrani ed altri personaggi di alto rango. Sia detto per
inciso, la corona di spine che venne imposta a Nostro Signore nella Sua Passione
ebbe forma di tiara, come si evince dalla Sindone e dalla reliquia della Sainte
Chapelle proveniente da Costantinopoli, e non di cerchio, come viene
normalmente rappresentata.
Il camelaucum non va confuso con il biretum, ossia berretta Papale, di cui non vi
è traccia prima del XIII sec. né nei documenti né nell’iconografia come
elemento distinto e codificato delle vesti Papali; il camelaucum è invece da
identificare con la tiara Papale, mentre in Oriente esso indica la berretta
monastica. E’ solo verso la fine del XVII sec. che la berretta Papale viene
chiamata camauro, e viene identificata col camelaucum di cui non si aveva più
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una precisa nozione.
Della tiara non si fa parola nell’Ordo Romanus I, segno che, come oggi il
camauro, non era allora parte dell’azione liturgica, ma era portata nelle
processioni solenni ed altre cerimonie non esclusivamente liturgiche. Anche la
mitria inizialmente fu un’insegna di rango extraliturgica, ed entrò relativamente
tardi nella liturgia del vescovo.
I primi documenti che dimostrano l’uso comune e codificato nel VII sec. del camelaucum                                                              risalgono al Papa Costantino (+ 715), che la indossava, come già si
usava nelle processioni a Roma, nel suo ingresso solenne a Costantinopoli:                                                                                    Pontifex et eius primates cum sellares imperiales, sellas et frenos inauratos simul et mappulos, ingressi sunt civitatem: apostolicus pontifex cum camelauco, ut solitus est Roma procedere (Liber Pontificalis). Il fatto che l’Imperatore
bizantino tollerasse che il Pontefice facesse pubblico uso della tiara in una
cerimonia di grande rilievo nella capitale Imperiale dimostra che essa era
essenzialmente diversa dalla corona Imperiale. Il cerimoniale di corte bizantino
era estremamente minuzioso e attento anche alle sfumature di vestiario e degli
ornamenti, regolati nei minimi dettagli in relazione al rango di chi li indossava
(il De caerimoniis aulae byzantinae, della prima metà del X sec., elenca diversi
tipi di diademi Imperiali o stemma ornati di pietre di colore differente portati a
seconda delle cerimonie alle quali partecipava l’Imperatore), e non appare
possibile che il Papa portasse insegne che lo equiparassero all’Imperatore
bizantino, il quale mai accettò la superiorità Pontificia. Inoltre, se il camelaucum                                                                              non fosse stato altro che il camauro, non vi sarebbe stato motivo di notarne l’uso
da parte del Papa in un evento di grande solennità cerimoniale, visto che un
particolare tipo di berretto monastico assimilabile al camauro era assai diffuso in
Oriente. Il camelaucum, l’unico elemento delle vesti del Papa ad essere
menzionato, era dunque il suo ornamento più significativo e distintivo.
Sembra che anche il Patriarca di Alessandria usasse una forma di tiara o forse
piuttosto di camauro in epoca antica, della quale rimane traccia nell’iconografia
di quei Patriarchi, ed anche l’arcivescovo di Benevento usò una forma di tiara
Papale, denominata camaurum, documentata da almeno il XIII sec. fino al XVI
quando ne smise l’uso, ma si tratta di rarissime eccezioni fra i Patriarchi ed i
Vescovi.
Non sembra attendibile, se non per attestarne l’uso immemoriale, antichissimo,
la notizia che la tiara sarebbe stata donata al Papa dall’Imperatore Costantino,
contenuta nella falsa Donazione di Costantino della metà dell’VIII sec., ma è
probabile che la donazione sia il ricordo, rielaborato e ricreato sotto forma di
ricostruzione del documento originario, dell’assunzione da parte del Papa della
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tiara ed altre vesti cerimoniali in occasione dell’Editto di Costantino che
dichiarava il Cristianesimo religio licita, con il quale i vescovi assumevano
un’alta posizione pubblica nell’ordinamento della gerarchia Imperiale, ricevendo
il titolo ed il rango di illustres, e quindi l’entrata a corte, il diritto di partecipare
alle cerimonie pubbliche, e, nel 318, l’autorità giudiziaria, sicchè i vescovi
furono equiparati ai giudici Imperiali. In particolare il Papa, vescovo di Roma,
capitale dell’Impero Romano, riceveva il titolo di gloriosissimus, essendo
ascritto al grado più alto della categoria degli illustres. A tale altissimo rango
erano annessi i privilegi relativi alle vesti cerimoniali dei grandi dignitari
Imperiali, quali l’uso del pallio, i sandali, le vesti di colore rosso (uno dei due
colori, il rosso ed il bianco, che erano i soli ad essere portati dal Pontefice nelle
cerimonie e funzioni pubbliche fino a poco tempo fa), che è quello della toga
consolare e di altri alti magistrati; sembra individuabile l’origine del manipolo,
originariamente privilegio del solo Pontefice, poi passata ai vescovi ed infine a
tutti i sacerdoti e oggi abolito dalla riforma liturgica, da una delle insegne
consolari, la mappa.
In breve, tutte le vesti e gli ornamenti del Papa e poi del resto dei prelati e del
clero (il pallio, i sandali, il manipolo, la stola, la dalmatica), sono, da Costantino
in poi, le insegne di rango relative alla qualità di dignitari della corte Imperiale
alla quale erano ascritti i vescovi ed il Papa, all’infuori della tiara, forse assunta
quale insegna di dignità anche per il carattere sacerdotale ad essa attribuito.
Infatti nel Costitutum Constantini Papa Silvestro esplicitamente rifiuta la
corona Imperiale a lui offerta dall’Imperatore, ma accetta la tiara, di
connotazione più religiosa, ed il cui colore candido simboleggia la Resurrezione: videlicet corona, quam ex capite nostro illi concessimus, ex auro purissimo et gemmis pretiosis uti debeant, et in capite ad laudem Dei pro honore B. Petri gestare. Ipse vero beatissimus Papa, quia super coronam clericatus, quam gerit ad gloriam B. Petri, omnino ipsa ex auro non est passus uti corona, nos frigium candido nitore splendidum, resurrectionem dominicam designans, eius sacratissimo vertici manibus nostris imposuimus, et tenentes frenum equi ipsius pro reverentia B. Petri stratoris offitium illi exhibuimus, statuentes eodem frigio omnes eius successores singulariter uti in processionibus ad imitationem imperii nostri.

L’associazione della tiara al rango sacerdotale è documentata anche dagli
affreschi della sinagoga di Dura Europos (databili al 235 – 44 circa), dove il
Gran Sacerdote Aronne indossa un copricapo a forma di tiara, identificabile col phrigium o camelaucum, ed un’alta tiara bianca è indossata dai sacerdoti pagani
negli affreschi del tempio degli dei palmireni (I sec.) sempre a Dura Europos. E’
interessante notare che nel giudaismo del III sec. il Gran Sacerdote era
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identificato dal phrigium; e sembra qualcosa di più di una coincidenza che
l’Imperatore Costantino doni un phrigium bianco al Papa Silvestro. Ciò appare
evidenziare dunque una continuità di associazione, già preesistente a Costantino,
del SKULJLXP alla dignità sacerdotale, presente ai compilatori del constitutum Constantini.

In questo contesto non sembra del tutto convincente l’ipotesi avanzata da Braun,
che la tiara sia stata assunta nel contesto dell’imitatio Imperii del periodo di S.                                                                               Gregorio Magno (590 – 604), ipotesi che riprende anche Ladner (che pure
sembra non aver chiara la differenza tra il camelaucum, la tiara e la berretta
Papale, poi denominata camauro, dalla quale pure, secondo alcuni, avrebbe
potuto derivare la tiara), che considera la tiara un’imitazione di una corona
Imperiale bizantina, assunta verso l’VIII sec.; nel contesto dell’imitatio Imperi S.
Gregorio Magno avrebbe potuto piuttosto cingere la base della tiara col diadema
Imperiale (cosicchè la tiara avrebbe assunto il nome di regnum), dal momento
che gli Imperatori bizantini a quell’epoca non portavano una corona chiusa, da
cui avrebbe potuto derivare la tiara, ma il diadema; e difatti nelle più antiche
rappresentazioni della tiara Papale essa è cinta alla base da un cerchio gemmato
che richiama il diadema.
Solo posteriormente la corona Imperiale bizantina si chiuse a forma di tiara; e si
può osservare che solamente dopo la caduta di Costantinopoli e la fine
dell’Impero bizantino i metropoliti Ortodossi assunsero il copricapo a forma di
corona chiusa o tiara (simile per alcuni versi alla tiara Papale), cioè quando la
corona Imperiale non era più portata: non sarebbe stato ammissibile che i
metropoliti portassero insegne simili a quelle Imperiali.
Le insegne Imperiali, anticamente ben distinte dalla tiara, inferiore in dignità
rispetto ad esse, di forma diversa, e soprattutto significanti realtà giuridiche
differenti, l’una di sovranità temporale, l’altra spirituale, consistevano nel
diadema, nell’orbe e nello scettro. Il diadema si evolve dalla corona aurea
d’alloro dell’Imperatore sempre vittorioso, il quale più tardi si congiunse sulla
fronte con una grande gemma sulla quale era intagliata l’aquila di Roma; in
seguito le foglie d’alloro sono disposte su di un cerchio aureo e si alternano a
gemme (come nel tondo raffigurante l’Imperatore Settimio Severo e la sua
famiglia con le insegne Imperiali, ora a Berlino), poi le foglie d’alloro si
diradano e spariscono, ed il diadema assume la forma definitiva del cerchio
aureo gemmato e dotato di una sorta di piccole infule o pendenti terminanti con
perle detti pendilia, che scendevano sulle tempie. Questa corona o diadema si
vede ad esempio nei mosaici Ravennati rappresentanti Teodosio o sulla
monetazione degli Imperatori bizantini fino al X sec. ed oltre, posteriormente
quindi al periodo nel quale il Papa avrebbe imitato una supposta corona
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Imperiale a forma di tiara. Ben diverse dalla tiara Papale anche le corone
Europee di epoca Carolingia, anch’esse derivanti ed imitanti il diadema
Imperiale, ma che solo in seguito si arricchirono di archi ad imitazione della
corona del Sacro Romano Impero. Quest’ultima è ritenuta da alcuni ispirata alla
tiara Imperiale bizantina; ma la forma della corona del Sacro Romano Impero
con l’arco lobato che la sormonta deriva invece con più certezza da una cattiva
lettura della cresta sormontante l’elmo cinto dal diadema dell’Imperatore
Costantino, quale appare sulla sua monetazione; a questa si aggiunse poi una
mitria vescovile, di concessione Pontificia. Nel ritratto di Pedro Berruguete del
duca Federico da Montefeltro col figlioletto Guidubaldo si scorge, su una
mensola, una tiara di tipo bizantino, priva delle tre corone e richiamante
piuttosto il berrettone concesso, insieme allo stocco, dai Sommi Pontefici ai
generali e sovrani che avevano ben meritato dalla Cristianità. Questa tiara
assomiglia invece al copricapo che appare nella medaglia del Pisanello
raffigurante Giovanni VIII Paleologo, che porta un cappello a larghe falde al
quale appare sovrapposta una tiara a punta, con costolature e cimata da una
sferetta sostenuta da una sorta di corolla nella quale convergono le costole. La
base, parzialmente nascosta dalle alte falde del cappello, è cinta da una fascia.
La diversità delle insegne regali dalla tiara può scorgersi anche dalla corona
Ferrea e quella di Teodolinda a Monza, oppure dalla corona che Silvestro II
inviò nel 1000 a S. Stefano d’Ungheria; l’attuale è del XI/XIII sec., e la parte
inferiore è detta corona graeca, consistente in un cerchio o diadema di origine
bizantina, che evidentemente ripete la forma di quella originaria inviata da
Roma, mentre la parte superiore è detta corona latina, e consiste in quattro archi
aggiunti alla corona in forma di cerchio o diadema intorno al 1200 ca.
Dunque non sembra verosimile che la tiara nasca per imitazione del diadema
Imperiale, che anche nel VII sec. e posteriormente era di forma affatto diversa e
denotante una qualità ed un rango differente; la tiara è quindi espressione di
dignità, all’inizio forse non strettamente liturgica ma con risonanze sacerdotali,
associato al copricapo dei sacerdoti veterotestamentari.
Da quanto sopra può evincersi come il vescovo di Roma e Successore di S.
Pietro, in quanto vescovo della capitale dell’Impero occupasse indubbiamente
una particolare posizione nella gerarchia Imperiale anche rispetto ai vescovi di
grandi metropoli quali Alessandria, Antiochia, etc. E’ possibile che la tiara sia
stata inizialmente portata anche dai vescovi delle città più importanti dell’oriente
dell’Impero, ma è certo che fu poi il solo Papa, e ciò è significativo, ad usarla
ininterrottamente, come pure fu il solo ad usare a lungo altri ornamenti. Si può
ritenere quindi che la tiara Papale, quale insegna di dignità propria del vescovo
di Roma, risalga ad un periodo estremamente antico, ed almeno Costantiniano.
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Le tre corone si aggiungono alla tiara in epoche successive: la prima, secondo
alcune cronache, si ritiene possa risalire al pontificato di Simmaco (498 – 514),
donatagli da Clodoveo in occasione del suo battesimo, ovvero a quelli di Leone
III (795 – 816) o Niccolò I (858 – 867) ma più verosimilmente risale al
pontificato di S. Gregorio Magno (590 + 604) o anche a quello di Gregorio VII
(1073 + 1085), che nel ‘Dictatus Papae rivendica al Papa l’uso delle insegne
Imperiali, e che come abbiamo notato sopra potrebbe aver assunto non tanto una
corona, ma piuttosto il diadema Imperiale (più tardi trasformatosi in una corona
con punte); la seconda fu aggiunta verso il 1295 da Bonifacio VIII, mentre la
terza appare col pontificato di Clemente V (1305 – 1314). L’attribuzione alla
tiara di significati Imperiali con l’aggiunta del diadema e poi delle corone in
epoca medievale è legata alla necessità di indipendenza del Pontefice dal potere
Imperiale, in modo da investire quest’insegna di una simbologia forte, alla quale
contribuirono le corone via via aggiuntesi, che accentuavano la superiorità del
Papa sull’Imperatore e sugli altri sovrani, difendendo le prerogative e la libertà
della Chiesa anche attraverso la sacralità e maestà della tiara, superiore alla
corona Imperiale o a quelle regali, e portata solo dal Pontefice Romano.
Secondo S. Paolo, tutto il potere proviene da Dio, tanto quello dell’Imperatore
che quello del Papa, e, distinguendone la natura, le tre corone alludevano non
tanto ad un potere terreno, quanto ad una sacra, suprema dignità di cui era
rivestito il Sommo Pontefice.
Vari i significati simbolici ed allegorici attribuiti alle tre corone, tanto spirituali
(la SS. Trinità, le tre Virtù Teologali, la Chiesa purgante, militante, trionfante,
etc.) che di giurisdizione (ordine, giurisdizione, magistero; padre dei re, rettore
del mondo, Vicario di Cristo, etc.). Con l’aggiunta delle corone la tiara venne
anche chiamata regnum cui triregno, quando le corone crebbero a tre.
In breve l’uso della tiara ha caratterizzato anche iconograficamente il solo
Sommo Pontefice in quanto vescovo di Roma fin da quando esistono notizie in
merito agli elementi del suo abbigliamento liturgico e cerimoniale.
E’ indubbio comunque che da sempre nel triregno i significati simbolici religiosi
e spirituali hanno sempre prevalso su quelli di ordine temporale. Il triregno,
insegna di dignità sacra, non deve essere interpretato in chiave secolare,
temporale: la potestà, la giurisdizione Papale espressa dalla tiara ha un
significato eminentemente religioso e spirituale.
La mitria vescovile compare solo nel X sec., ben dopo la tiara, inferiore ad essa
in dignità, da essa differente, e probabilmente originata dal berretto monastico,
portato anche da alcuni vescovi, anche se secondo alcuni forse derivante dalla
9 tiara; infatti si tratta originariamente di un copricapo non rigido ed elevato come
la tiara, ma a forma di bassa calotta, che sviluppò due corni morbidi e bassi che
andarono poi elevandosi, la quale esprimeva la giurisdizione episcopale
soprattutto civile. Se si accetta invece la derivazione della mitria dalla tiara, nel
linguaggio simbolico medievale si potrebbe ravvisare, nel taglio che la divide in
due, la rappresentazione di una differenza di grado, in termini araldici di una
brisura, in un certo senso una tiara diminuita, e che evidenzia quindi la
derivazione gerarchica della giurisdizione del vescovo dal Papa.
In origine portata dal solo Pontefice quando non portava la tiara, che era di
maggior dignità, venne poi concessa dal Papa (proprio per la sua visibile
inferiorità gerarchica rispetto alla tiara, riservata al solo Pontefice) dapprima ai
Metropoliti ed ai Vescovi più importanti a partire dall’XI sec. quale insegna di
alto rango, ed emblema di giurisdizione ecclesiastica e civile, diffondendosi
dopo la metà del XII sec. a tutti i vescovi; usata al di fuori della liturgia, solo
posteriormente la mitria fu usata anche nella Messa, mentre la tiara non
modificò l’antico uso originario, entrando piuttosto marginalmente nella liturgia:
infatti essa è utilizzata nelle processioni, nelle cerimonie e nelle solenni
benedizioni, non nella Messa come la mitria. Solo per circa un secolo, dalla
prima metà del X sec., il Pontefice usò la tiara anche durante la Messa. Più tardi,
dopo il XI sec., la mitria acquista rigidità e comincia ad allungarsi a partire dal
XIV sec., assumendo la forma odierna dopo il XVI sec. La mitria, quale insegna
di dignità, anche insieme ad alcuni ornamenti sacerdotali, venne concessa anche
ad alcuni sovrani temporali: il caso più noto è quello del Sacro Romano
Imperatore, che nell’incoronazione era rivestito della dalmatica e gli era imposta
la mitria, poi la corona, e ciò fin dai tempi degli Imperatori ottonidi e salici:
infatti la corona Imperiale (X – XI sec.) conservata a Vienna, combina il
diadema, l’unico arco imitato dalla cresta lobata dell’elmo costantiniano, e la
mitria, posta di traverso; e la corona Imperiale di Rodolfo II, del 1602, ripete il
medesimo modello, combinando la mitria posta trasversalmente con la corona
ad un solo arco.
Mai al contrario venne concesso a sovrani temporali il triregno, che venne però
in alcuni casi imitato, proprio per il suo carattere sacrale e di suprema dignità:
nell’affresco del Pinturicchio nella Libreria Piccolomini a Siena, raffigurante le
nozze di Federico III d’Asburgo e Eleonora del Portogallo, il re porta una sorta
di tiara azzurra con due corone, ma senza globo e croce, che però, pur con un
inevitabile riferimento iconografico al triregno Papale, è più che altro una
corona raddoppiata o meglio una doppia corona; ricordiamo inoltre la celebre
corona doppia di Martino I re di Sicilia e d’Aragona, conservata nel duomo di
Barcellona.
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Così come la tiara, la mitria venne posta come timbro sulle armi dei Vescovi
come espressione della loro dignità, giurisdizione e ministero; ad essa vennero
poi attribuiti significati spirituali e simbolici che prevalsero largamente sui
significati originari di insegna di rango e di potere. In seguito, e già nel XIV
sec., venne largamente sostituita dal galero coi fiocchi; attualmente, per
disposizione del Papa Paolo VI i soli galeri coi fiocchi – con esclusione della
mitria – esprimono il grado prelatizio.
Le chiavi furono dai tempi più antichi costante attributo iconografico di S.
Pietro, le cui prime rappresentazioni con le chiavi risalgono al V sec. La Chiesa
era anticamente rappresentata dalla croce; abbiamo testimonianze di un vessillo
della Chiesa con la croce nel XI sec., e la croce fu portata quale insegna su
vessilli, vesti e armi nella prima Crociata. Più tardi alla croce si aggiunsero le
chiavi Petrine, e di ciò abbiamo notizia nel 1204, quando Innocenzo III mandò
un vessillo con la croce e le chiavi a Kaloyan, Zar dei Bulgari e Valacchi, ed
anche posteriormente, come nel vessillo concesso a Viterbo (1316). In seguito le
chiavi appaiate passarono a significare la Chiesa: la prima raffigurazione certa
risale al tempo di Innocenzo III (1198 – 1215), nei mosaici dell’abside
dell’antica basilica di S. Pietro, ove la personificazione dell’ Ecclesia Romana                                                                                 sorreggeva un gonfalone con le chiavi appaiate, e nel primo quarto del XIII sec.
ormai prevalgono sulla croce come emblema della Santa Chiesa, e, quale
emblema della sovranità Pontificia, resteranno in uso fino alla fine del potere
temporale del Papato. Le chiavi appaiate con gli ingegni in alto, esprimenti la
Chiesa quale superiore feudale, compaiono nelle monete di Carlo d’Angiò “Rex
Siciliae” e nella monetazione Papale; solo nella seconda metà del XIII sec.
appaiono poste in decusse, come lo sono attualmente. L’arma della Chiesa (di rosso,                                                                      alle chiavi decussate d’argento o d’oro, gli ingegni in alto, legate con un cordone di                                                                        vari smalti o metalli e terminante in fiocchi) si fissa verso l’inizio
del XIV sec.: uno dei primi esempi si trova in un rilievo nel chiostro
dell’abbazia di Sassovivo, presso Foligno. Finalmente nel XV sec. alle chiavi si
aggiunge la tiara, arrivando all’arma della Chiesa attualmente usata, ovvero le
chiavi sormontate dal triregno. Il primo esempio sembra essere quello sulla base
di una statua di Martino V (1417 – 1431) nel Duomo di Milano; ma già la
monetazione di Innocenzo VI (1352 – 1362) porta simili elementi araldici.

 

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Solo verso la metà del XIV sec. le chiavi appaiono combinate – e non
semplicemente accostate – con la tiara nelle armi Papali: fra i primi esempi, lo
stemma di Clemente VI posto sopra la porta del palazzo Papale di Avignone
(1348), e le armi di Innocenzo VI sulla tomba del vescovo Baldracco Malabaila
nel Duomo di Asti (1353), anche se le chiavi, quali emblema della Chiesa, erano
accostate allo stemma Papale già con Bonifacio VIII.
Le chiavi, col loro riferimento all’apertura ed alla chiusura di una porta, e quindi
all’accesso ed alla potestà su di un feudo, castello, o altra forma di dominio,
sono sempre state associate non tanto e non solo a S. Pietro ed alla Chiesa, ma
soprattutto alla sfera laica, temporale. La consegna delle chiavi di città, di
chiese, di palazzi e di castelli era una cerimonia frequente e prevalentemente
non ecclesiastica, significante la consegna di dominio e giurisdizione o
l’investitura di una carica amministrativa o di corte; questa cerimonia si trasferì
naturalmente anche alla sfera ecclesiastica, simboleggiando il trasferimento di
potestà su di una chiesa ad un abate o altro ecclesiastico.
Nel Medioevo le chiavi, insieme con la ferula, venivano consegnate al Papa dal
priore di S. Lorenzo al Laterano (cioè il Sancta Sanctorum) all’atto della sua
intronizzazione sui troni porfiretici del Laterano, ed il Pontefice poi li
riconsegnava al priore: non si trattava quindi di insegne Papali, ma di simboli di
dominio e giurisdizione, e questo significato, pur commisto alla simbologia
Petrina, ebbero le chiavi quali insegne Pontificie.
Dal Medioevo quindi, nella monetazione Papale, nelle armi dei Camerlenghi e
dei Gonfalonieri Pontifici, persino nei timbri e punzoni del governo Pontificio,
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le chiavi raffigurarono la sovranità temporale del Papa fino alla fine dello Stato
Pontificio.
Vediamo quindi che le chiavi hanno avuto significati diversi a seconda del
contesto araldico o iconografico nel quale sono inserite: come attributi
iconografici di S. Pietro, quali insegne del potere temporale della S. Sede,
attributi di cariche laiche, elementi araldici di un’arma, ed altro.
Dalla metà del XIV sec. lo stemma Papale è stato costantemente caratterizzato
dalla tiara unita alle chiavi, esprimenti insieme la suprema dignità sacerdotale
del Pontefice ed il suo governo della Chiesa universale: quindi le chiavi sono
strettamente legate al triregno per la loro significatività religiosa e Petrina.
Contrariamente al triregno, che significa sempre e solamente il Papa, le chiavi
non hanno un significato univoco, ed è dalla tiara Papale che ricevono un chiaro
significato. Si può ritenere quindi che sono le chiavi ad esprimere la sovranità
del Pontefice, mentre la tiara ne esprime la dignità ed i suoi aspetti simbolici e
spirituali.
Si è visto come la mitria nasca quale ornamento liturgico molti secoli dopo la
tiara, e nella sua forma è probabile si esprimesse l’inferiorità del grado
episcopale da essa simboleggiato rispetto alla tiara, che mai venne usata dai
vescovi (con rarissime eccezioni, quali quelle sopra ricordate e per
particolarissimo privilegio, dal Patriarca di Lisbona, tuttavia con diverse
limitazioni, e rari altri esempi); è sempre e solamente stata attributo primario
della dignità episcopale anche quale timbro araldico.
Nei secoli, la tiara, peculiare al solo Sommo Pontefice, ha identificato insieme
alle chiavi Petrine, aggiuntesi come si è detto molto più tardi, la dignità unica
del Sommo Pontefice, la giurisdizione, il magistero, in breve, il PXQXV ed il
Primato Petrino del Papa. Solo posteriormente ai significati ecclesiali, religiosi e
spirituali del triregno si è aggiunto il significato di sovranità temporale.
Giova ripetere che mai la tiara ebbe il significato univoco di insegna di potestà
temporale: ridurre la tiara e le corone simboliche a puro emblema di sovranità, è,
più che riduttivo, fondamentalmente sbagliato, in quanto essa era in uso quale
insegna del Papa ben prima della Donazione di Sutri del 728, e dell’acquisizione
da parte dei Pontefici di uno Stato divenendo anche sovrani temporali, e ne
continuarono ininterrottamente l’uso tanto liturgico che araldico anche dopo la
perdita degli Stati Pontifici e della sovranità effettiva. La tiara sulle armi
Pontificie dunque non è mai stata solamente espressione di sovranità temporale:
il significato primario della tiara sulle armi Pontificie è quello di esprimere la
dignità ed il ministero del Successore di Pietro e vescovo di Roma. Il significato
temporale vi si aggiunse solo in seguito ed incidentalmente per un periodo
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definito, anche se lungo, ma tale significato si è aggiunto e poi caduto, senza che
il significato primario della tiara venisse meno. Attribuire al triregno significati
primari di dominio temporale significa accettare acriticamente l’interpretazione
della propaganda anticattolica del liberalismo risorgimentale.
Nell’attuale versione dello stemma Papale, togliendo la tiara si è così abolito ciò
che era dalla più remota antichità emblema peculiare del vescovo di Roma, il
Pontefice Romano, e forse l’unico che non ha origine nelle vesti ed insegne di
rango dei dignitari Imperiali bensì associato alla dignità sacerdotale,
sostituendole con la mitria (ed una ben strana mitria!), attributo dei vescovi assai
più recente della tiara e originariamente insegna di rango e di potere
ecclesiastico e civile; si sono conservate le chiavi, che solo molto posteriormente
sono divenute un emblema collegato al Papa ed esprimente, oltre che il Primato
Petrino, anche e sopratutto la sua sovranità temporale.
Altrettanta perplessità desta un’altra innovazione, l’inserimento del pallio
nell’arma Papale, visto che è il Pontefice a concederlo ai metropoliti, e non lui a
riceverlo. Araldicamente ha lo stesso senso di una commenda di un ordine
cavalleresco posta nello stemma di un sovrano che è Gran Maestro del
medesimo Ordine e che quindi lo concede, non lo riceve.
Poiché tutti i metropoliti lo hanno, insieme alla sostituzione della mitria alla
tiara rappresenta un’ulteriore elemento di incertezza, di confusione dei
significati che lo stemma deve esprimere, delle differenze tra il PXQXV del
Pontefice e quello dei Vescovi.
Il pallio, unito alla complicata mitria, ricorda poi il gusto ricercato ed enfatico
dell’araldica ecclesiastica Francese del tardo ‘800, distante dalla nobile, austera
semplicità dello stile Romano, come ad esempio nello stemma di Paolo VI.
Con grande senso storico Sua Santità ha però voluto riprendere la forma antica
del pallio, quella stessa che si vede nelle più antiche raffigurazioni di questa
antichissima insegna di rango dei grandi dignitari dell’Impero Romano,
opportunamente differenziando così il pallio del Papa da quello degli altri
vescovi. Perchè, se Sua Santità si è così ispirato alle insegne originarie del
Sommo Pontefice, non riprendere l’uso della tiara nella sua forma più antica,
anche nella liturgia?
Tali ornamenti ricordano inoltre che la Chiesa è l’unica istituzione con un
ininterrotto legame di continuità con l’Impero Romano.
Un alto onore per la diocesi di Monaco, della quale Sua Santità fu Vescovo, ed
espressione del suo profondo senso pastorale è l’inserimento dell’arma di quella
Diocesi nello stemma Papale, quale ricordo del suo ministero, come già fecero
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alcuni Pontefici predecessori del Santo Padre.
Il desiderio di ricordare la Diocesi di Monaco poteva però essere espresso con
maggiore correttezza araldica brisandone opportunamente i quarti. Una forma di
brisura è già presente nella disposizione dei due quarti nel cappato dell’arma, ma
un’ulteriore e più chiara brisura sarebbe stata possibile ed opportuna, ad esempio
invertendo gli smalti ed i metalli, o cambiando il metallo del campo. Questo
quarto infatti appartiene ed identifica il vescovo SURWHPSRUH di Monaco: se un
vescovo emerito ha diritto a conservare l’arma della diocesi nel suo stemma, un
vescovo traslato ad altra sede ovviamente abbandona l’arma della sede
precedente per assumere quella di cui è nominato vescovo: ed il Papa è il
vescovo di Roma. Quale significato può dunque avere il quarto non brisato
nell’arma Papale? non di quarto di padronanza: allora l’arma Papale dovrebbe
avere i quarti di tutte le diocesi del mondo; non di carica: infatti Sua Santità non
esercita il ministero di Vescovo in quella Diocesi; non di arma gentilizia: le armi
appartengono ad una diocesi; non di identificazione: quel quarto identifica il
Vescovo e la sua giurisdizione sulla Diocesi, e qui dunque c’è una duplicazione,
poichè tanto il Vescovo quanto il Papa portano gli stessi quarti nello stemma.
Inoltre, per uno stemma di gusto germanico qual’è lo stemma del Papa, il re
etiope (in una nota identificato come il capo della Legione Tebea; ma
l’iconografia di S. Maurizio non comprende la corona regale: potrebbe forse
essere uno dei Re Magi?) avrebbe dovuto esser rivolto per cortesia.
Lo stemma Papale è bello ed armonioso dal punto di vista del disegno araldico,
ma sarebbe stato molto migliorato da una maggiore attenzione a queste norme
ben conosciute nella composizione degli stemmi.
La funzione dello stemma e dei suoi ornamenti esterni consiste nell’esprimere e
raffigurare una realtà giuridica e di dignità ed identificare con esattezza la
persona a cui appartiene lo stemma.
La tiara e la mitria hanno significati araldici precisi e distinti: la tiara è
l’elemento araldico che esprime l’insieme di realtà tanto giuridiche e di dignità
quanto spirituali della dignità Pontificia; la mitria esprime l’ordine e la
giurisdizione episcopale.
Se il primo scopo di uno stemma è quello di identificare attraverso tutte le sue
parti il possessore dello stemma, nel nuovo stemma Papale timbrato dalla mitria
e privato della tiara – salvo le chiavi che comunque perdono la tradizionale
valenza – ormai nulla differenzia lo stemma del Santo Padre da quello di un
qualsiasi Vescovo.
Se le chiavi non sono più in relazione con la tiara, cambia il loro significato
araldico e sono ridotte ad elemento accessorio (elementi simbolici di vario
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genere si trovano in molti stemmi episcopali in riferimento alla loro sede) non
più chiaramente associabile al Successore di Pietro. Le chiavi, come si è del
resto visto, non sono un’esclusiva delle armi Papali e neppure dell’araldica
ecclesiastica, ed altre entità le rappresentano accollate in decusse allo scudo
come quelle Petrine, ad indicare cariche laiche. Ad esempio, lo stemma del Gran
Ciambellano dell’antica corte Sabauda era ornato da due chiavi poste in decusse
dietro lo scudo, simili a quelle del Papa, e così altri Gran Ciambellani di altre
Corone; i Chigi portano due chiavi pendenti ai lati dello scudo a significare la
carica ereditaria di Maresciallo del Conclave, e svariati altri casi consimili
potrebbero essere citati. Viene così a cadere la funzione identificativa dello
stemma ed espressiva della suprema giurisdizione e Magistero Petrino.
L’attuale stemma Papale è uno stemma episcopale qualsiasi; inoltre colpiscono
le rassomiglianze – certo non intenzionali – con l’araldica ecclesiastica
protestante, che come è noto si differenzia dall’araldica ecclesiastica cattolica
timbrando con la mitria le armi episcopali. Paradossalmente lo stemma, con le
attuali modifiche, da un punto di vista strettamente araldico appare come lo
stemma di un vescovo protestante, Gran Ciambellano di un sovrano, con un
pallio conservato per tradizione. E’ lo stemma forse di un vescovo
particolarmente importante, ma nulla più.
Le tre strisce della strana – ed irrimediabilmente brutta – mitria zebrata,
vorrebbero ricordare le tre simboliche corone della tiara, unite da un’altra
striscia verticale, la quale, fermandosi alla striscia più alta, nemmeno serve a
ricordare la croce Papale, ma piuttosto i gradi sulla manica di una divisa
(vedremo un giorno mitrie cardinalizie con due strisce, e vescovili con una
sola?); il tutto di notevole bruttezza e complicazione. Se nella tiara e nelle tre
corone si sono voluti erroneamente leggere solo significati temporali, e la si
rifiuta per questo, non sembra logico voler trasferire sulla mitria vescovile, che
si vuole associata ad una simbologia religiosa e pastorale, il ricordo delle tre
corone, mischiando così linguaggi araldici e simbolici diversi, e creando un
ibrido dai dubbi significati sia araldici che simbolici.
Ulteriore stranezza, le infule della mitria sono di colore rosso: dalla posizione
nella quale sono disegnate, si deve supporre che il rosso corrisponda alla fodera,
poiché le infule devono essere dello stesso colore della mitria, che è bianca; ma
nonostante si tratti della fodera interna, esse sono cariche di una crocetta d’oro,
vera assurdità tanto araldica che liturgica.
L’autore del nuovo stemma Papale ha sentito comunque la necessità di creare
per il Papa una particolare mitria Papale, quindi qualcosa di diverso dalle mitrie
ordinarie, indicante una qualche superiorità gerarchica – per quanto modesta! –
rispetto al resto dell’episcopato. Ma se questo elemento di identificazione e
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distinzione già esisteva, ed era perfettamente rappresentato da oltre un millennio
dalla tiara, l’ornamento da sempre portato dal Papa, allora perché cambiarlo? E
se erano le corone a causare tanta costernazione, allora perché non ritornare alla
tiara originaria, col solo cerchio gemmato alla base? Esempi di stemmi Papali
timbrati da tiare con una sola corona non sono mancati anche in età moderna: si
potrebbe citare ad esempio una bella xilografia, raffigurante l’arma di Papa Pio
IV, con una tiara con una sola corona alla base. Nella mitria a strisce si è così
conservato il ricordo di ciò che era accessorio, scartando l’essenziale.

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Appare infondata l’argomentazione secondo la quale la tiara andrebbe soppressa
in quanto il Papa Paolo VI vi avrebbe rinunciato, quando nel 1964 offrì la tiara
donatagli dalla diocesi di Milano perché fosse venduta per la fame nel mondo;
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pertanto, non essendo questa più in uso, dovrebbe sparire anche dalle armi
papali. Non fu assolutamente questa l’intenzione del Pontefice, bensì quella di
offrire per la fame nel mondo quanto il Papa aveva di più prezioso e che più
compiutamente lo simboleggiava: il triregno. Infatti né Paolo VI (una replica
della bellissima tiara offerta per la fame nel mondo fu commissionata per la
Sacrestia Pontificia), né Giovanni Paolo II hanno mai inteso rinunciarvi o
interrotto l’uso della tiara sui loro stemmi: l’articolo dell’Osservatore Romano
tace il fatto che non solo lo stesso Paolo VI continuò ad usare il triregno sulle
proprie armi, ma a lui si deve la costituzione ‘De Romano Pontifici eligendo,
promulgata il 1-10-1975, la quale comprende il cerimoniale per l’incoronazione
del Pontefice, che prevede l’imposizione della tiara.
Infatti, nel 1978, eletto Sommo Pontefice Giovanni Paolo I, i cerimonieri
pontifici prepararono uno dei triregni della Sacrestia Pontificia per
l’incoronazione del nuovo Papa, secondo quanto previsto dalla succitata
costituzione del 1975, e come del resto si aspettava lo stesso Papa Giovanni
Paolo I. Altrimenti decise l’allora maestro delle cerimonie, Mons. Virgilio Noè,
assertore della riforma liturgica nata dopo il Concilio Vaticano II, il quale,
influenzato e partecipe del clima avverso a ciò fra particolari ambienti del clero
legato alle posizioni più progressiste, oltre che per quelle che ritenne valide
motivazioni di opportunità politica ed ecumeniche, volle eliminare
l’imposizione della tiara al Pontefice. Le motivazioni addotte procedevano da
una mancanza di conoscenza e comprensione della storia e dei reali significati
della tiara e della sua solenne imposizione, e da una volontà di revisione e
modernizzazione dei simboli antichi, senza curarsi del loro valore e significato,
asserendone la non comprensibilità odierna. Nella visione di Mons. Noè si
trattava di cerimonie supplementari delle quali non si volevano o sapevano
leggere i più autentici e profondi significati, ma solo un univoco significato
politico, temporale. Ciò anche per il timore di irritare i protestanti con ciò che si
voleva considerare una solennità eccessiva ed una sottolineatura del Primato del
Papa.
Il Sommo Pontefice non è in realtà incoronato come un Re, poiché non riceve
l’unzione e la consacrazione regale: egli è già consacrato vescovo, e quindi non
si tratta di un atto propriamente liturgico, bensì qualcosa di più vicino alla
vestizione di un vescovo prima di un pontificale: è il vescovo di Roma,
Pontefice Romano, che viene per la prima volta solennemente rivestito delle
insegne che gli sono proprie.
Anche il Papa Giovanni Paolo II non era affatto contrario all’imposizione della
tiara, né al suo uso, ritenendo inoltre di aver pieno diritto di usarla anche senza
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la cerimonia dell’imposizione, alla quale non si volle procedere all’atto della sua
elezione, dopo il precedente recentissimo dell’intronizzazione di Giovanni Paolo
I senza l’incoronazione. Infatti, nonostante un fugace tentativo di fargli sostituire
la mitria alla tiara, il Papa Giovanni Paolo II ha voluto continuare a portare il
triregno sulle proprie armi, ed a lui gli Ungheresi hanno donato un magnifico
triregno nel 1981. Anche in occasione dell’elezione del Papa Benedetto XVI si è
pensato di riprendere l’imposizione della tiara e degli altri paramenti Pontifici
sulla stessa tomba del primo Papa, S.Pietro, in forma non pubblica, per poi
procedere alla loggia per la benedizione Urbi et Orbi. Oggi rimane comunque
presente il senso del valore profondo della tiara. Dunque il preteso abbandono
Paolino della tradizione della tiara non c’è mai stato.
Del resto, quanti monarchi oggi portano comunemente la loro corona, che pure,
quale simbolo di giurisdizione e di rango, compare su tutte le loro armi? E
quanti prelati e sacerdoti, negli ultimi anni, hanno mai portato il galero coi
fiocchi che timbra i loro stemmi indicandone il rango nella gerarchia
ecclesiastica? Dunque anch’essi dovrebbero, per lo stesso motivo, abbandonare
questo timbro.
In realtà si tratta di insegne di dignità che, seppure non usate effettivamente (e
talvolta neanche più esistenti fisicamente), indicano ed identificano colui che
ricopre una particolare carica, possiede un particolare rango.
Oltretutto, la tiara e le chiavi restano gli emblemi della Santa Sede in tutte le sue
espressioni: con il nuovo stemma si cade nell’assurda situazione di avere
espressioni araldiche radicalmente differenti per la S. Sede ed il suo Capo.

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L’araldica è un linguaggio preciso, con regole e significati ben codificati e
cristallizzati nei secoli, che non possono, come qualsiasi linguaggio, essere
sconvolti da decisioni individualistiche. E’ lo stemma ad essere la parte
dell’arma appartenente all’individuo e che può essere variata, entro certi limiti,
mentre gli elementi esteriori ed il timbro sono fissi ed identificano la carica e la
dignità e non appartengono al titolare pro tempore ma all’istituzione o alla
stirpe.
Nel linguaggio araldico, l’introduzione, la scomparsa o la variazione di insegne e
quarti ha un significato assolutamente preciso, che esprime la variazione di una
realtà giuridica. La tiara e la mitria hanno significati precisi e distinti ed
esprimono realtà diverse e gerarchicamente ordinate, e rappresentano in maniera
univoca la funzione e la dignità del titolare dello stemma.
Cambiare la tiara con una mitria introduce un elemento personalistico in ciò che
dovrebbe essere impersonale, il timbro, il quale esprime ed appartiene alla
dignità Pontificia, alla sua continuità e perennità, non al Papa in quanto
individuo. E’ infatti lo stemma, appartenente all’individuo, ad essere il luogo
deputato all’espressione di elementi personali, non il timbro e gli ornamenti
esteriori che appartengono ed esprimono la carica, la dignità, ed il rango. Questi
non sono decorazioni arbitrarie, ma hanno un preciso significato giuridico, come
abbiamo già osservato. La Chiesa è un organismo gerarchico fin dalla sua
nascita, e ciò ovviamente deve riflettersi nelle sue forme esteriori, anche
araldiche: un cambiamento così radicale potrebbe avere conseguenze a cascata
sull’intera araldica ecclesiastica.
E’ pur vero che una nota di accompagno al nuovo stemma del Papa inviata alla
Ambasciate presso la Santa Sede chiarisce che si tratta dello stemma personale
del Papa, e che quello della Santa Sede non cambia, ma si tratta comunque dello
stemma del Sommo Pontefice, di colui che è rivestito della dignità espressa dalla
tiara e della quale dignità è conseguenza l’esistenza stessa della Santa Sede
quale entità statuale, e che quindi difficilmente può “distanziarsi” dalla propria
suprema dignità, non di un prelato qualunque il quale – entro certi limiti – si può
concedere qualche libertà araldica. E’ anche vero che diversi Pontefici hanno
variato usi, cerimonie, vesti, ed elementi appartenenti alla dignità Pontificia, e
che tali variazioni non sono state necessariamente conservate dai loro
successori, ma l’odierno cambiamento dell’arma Pontificia è di portata assai
superiore e dirompente.
Sostituire la tiara con la mitria ha quindi un significato ed un’intenzionalità
precisa e facilmente leggibile nel linguaggio araldico.
In questo stemma, il munus Pontificio, il Primato, la sua dignità e giurisdizione,
rappresentati dalla tiara, vengono a scomparire del tutto, e scompare anche la
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funzione identificativa e dichiarativa dello stemma.
Sopprimere la tiara equivale a dichiarare la rinuncia a tutto ciò che essa esprime
araldicamente: del resto è in questo senso che il nuovo stemma è stato presentato
nell’articolo del card. Montezemolo, che lo definisce “…il segno esplicito e
fraterno del compartire (la) giurisdizione con gli Arcivescovi metropoliti, e
mediante questi con i Vescovi loro suffraganei…. segno visibile della
collegialità e sussidiarietà”
E precisamente nel senso di una rinuncia a tutto ciò è stata letta da quanti hanno
commentato le nuove armi Papali nei quotidiani, nei periodici, fra gli studiosi di
araldica, nei Forum araldici: il Papa non è più che un primus inter pares, che
rinuncia alla giurisdizione Papale e forse alla sovranità, un capo religioso fra gli
altri.
E’ sorprendente che si liquidi una tradizione millenaria con un breve articolo,
nel quale non mancano le inesattezze. Suscita sgomento che ci si disfi con tanta
superficialità di un’insegna di così profondo valore spirituale, simbolico, e
giuridico, e che da un così lungo corso di secoli simboleggia ed identifica
liturgicamente, iconograficamente, ed araldicamente il Successore di Pietro, il
vescovo di Roma, il Capo della Chiesa. Qual’è il motivo di cambiare insegne
araldiche dai significati chiari, espressi con semplicità e assolutamente leggibili
da tutti, riferibili al solo Romano Pontefice, e cristallizzate dalla tradizione
attraverso una lunga serie di secoli, se non si è sicuri di migliorare ciò che viene
scartato?
Colpisce la sciatta e scadente qualità artistica e grafica dello stemma Papale, un
sottoprodotto dello stile del grande Mons. Heim, stile degnamente continuato da
un artista araldico quale Ikkon André Yamashita, allievo e continuatore dello
stile di Mons. Bruno Heim (che fra l’altro nel suo sito ha disegnato una
correttissima versione dello stemma Pontificio), o che – su ben più alto livello
araldico ed artistico – avrebbe potuto essere disegnato dal Consocio Marco
Foppoli, uno dei più brillanti artisti araldici contemporanei (che ha anch’esso
disegnato per il suo sito un magnifico stemma del Pontefice secondo le corrette
regole araldiche). La Chiesa, come istituzione universale di altissima tradizione
culturale e l’unica che ha un legame ed una continuità ininterrotta con l’Impero
Romano, e del resto come ogni organismo civile di un certo peso, dovrebbe
cercare di utilizzare gli studiosi e gli artisti del massimo livello nel campo
dell’araldica, quale fu Mons. Heim, non dei volenterosi cultori che, per quanto
ben intenzionati, non sono certo specialisti della materia.
Adeguarsi ai tempi, il trito mantra ripetuto ossessivamente da chi non sa per
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conformismo porsi criticamente al di sopra delle mode del momento e
distinguere l’essenziale dal caduco, il valore dall’apparenza, non significa
piegarsi – per giunta fuori tempo! – alle mode di trent’anni fa. Che senso ha oggi
disfarsi della tiara Papale, che assolutamente nessuno ha mai pensato di
contestare, neppure trent’anni fa?
Non vi si ravvisa che una gratuita volontà di rottura con la tradizione ed identità
Petrina e Pontificia: se l’abbandono del millenario simbolo era comprensibile
negli anni ’70, nel clima di resa alla modernità e di sequela delle mode
intellettualistiche francesi degli anni ’50, oggi questo è del tutto assurdo, fuori
moda, e completamente distaccato dal forte perseguimento della Verità da
sempre seguito da Sua Santità. E’ un gesto superficiale ed ambiguo: se non si
intende abbandonare ciò che la tiara ha da sempre rappresentato, allora tutto ciò
non corrisponde a nulla, è un gesto vuoto.
Ciò che non vollero fare Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II ci viene
ora regalato da un brutto disegno e pochi paragrafi nell’Osservatore Romano.
Speriamo che il senso storico, la tradizione e la correttezza araldica, il buon
senso e, sopratutto, lo spirito della verità prevalgano. Benedetto XVI merita di
più.
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BIBLIOGRAFIA

  • G. Braun, I paramenti sacri, Torino 1914.
  • Dom. P.Salmon, Etude sur les ornaments du pontife dans le rite romain, Roma 1955
  • D.L. Galbreath, Papal heraldry, 2a edizione, London 1962
  • Grabar, L’età d’oro di Giustianino – dalla morte di Teodosio all’Islam, Milano 1966
  • J. Hubert, J. Porcher, W.E. Volbach, L’impero Carolingio, Milano 1968
  • Mons. B.B. Heim, Heraldry in the Catholic Church, U.K. 1978
  • M. Pastoreau, Traite d’heraldique, Parigi 1979
  • O. Neubecker, Araldica – origine, simboli e significato, Milano 1980
  • G. Bascapè, M. del Piazzo, Insegne e simboli, Roma 1983
  • G.B. Ladner, Die papstbildnisse des altertums und des mittelalters, Città del Vaticano 1984.
  • L.Orsini, Sacrarium Apostolicum, Torino 1998
  • B. Berthod, P. Blanchard, Tresors inconnus du Vaticain, Parigi 2001.

 

Ringrazio la sig.ra Gabreilla Mayer per il suo cortese aiuto per le traduzioni dei testi in tedesco.

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